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06/04/2023

«Iniziamo a comprendere in che modo si muovono le faglie al di sotto delle Alpi»

«Iniziamo a comprendere in che modo si muovono le faglie al di sotto delle Alpi»

Il professor Domenico Giardini ha guidato un gruppo altamente motivato nel progetto per la creazione di un laboratorio in roccia su larga scala, unico nel suo genere in Svizzera. L’idea è diventata realtà con il BedrettoLab, in funzione dal 2019. In qualità di presidente del Consiglio di amministrazione di quest’ultimo, Giardini è pertanto fortemente coinvolto nelle decisioni sul presente e sul futuro di questa infrastruttura. Gli abbiamo posto delle domande inerenti allo sviluppo del laboratorio, ai temi su cui si concentra maggiormente nel suo lavoro al BedrettoLab e in merito alle sue visioni per il futuro.

Come ha avuto origine l’idea di creare un laboratorio nella roccia?

In passato, le conseguenze indesiderate dei progetti geotermici su larga scala come sismi percepiti o dannosi hanno dimostrato che è necessaria una migliore comprensione di ciò che succede in grande profondità se iniettiamo acqua o estraiamo acqua calda o fredda. La difficoltà consiste nel fatto che i giacimenti geotermici con temperature di almeno 180 °C, richieste per la produzione di energia elettrica, devono situarsi necessariamente a 4-6 chilometri di profondità in regioni non vulcaniche come la Svizzera. Normalmente non sappiamo molto del sottosuolo profondo e siamo costretti ad effettuare gran parte delle misurazioni dalla superficie. Pertanto, ci rendevamo conto che per sfruttare in futuro l’energia geotermica in Svizzera avremmo dovuto comprendere meglio i processi che avvengono in profondità. In Svizzera esistono già due laboratori sotterranei (MontTerri e Grimsel). Gli esperimenti che abbiamo condotto per due anni presso il Grimsel ci hanno consentito di lavorare ad alcune centinaia di metri di profondità e su una scala di poche decine di metri. Cercavamo tuttavia volumi rocciosi più estesi e profondità di 1-2 chilometri, quindi dovevamo trovare un luogo adatto con condizioni adeguate.

Come è avvenuto il processo di selezione per il BedrettoLab?

In Svizzera esistono molte gallerie ben note alla comunità geologica. Al momento di dare il via a questo nuovo laboratorio sotterraneo, ci siamo confrontati con i nostri geologi per sceglierne una adeguata. Alla fine sono stati individuati tre possibili tunnel e abbiamo scelto quello di Bedretto per vari motivi. Il primo criterio fondamentale era quello della geologia. Il granito di Bedretto è rappresentativo della geologia del basamento della Svizzera e il fatto che il tunnel non sia cementato per oltre 5 chilometri è incredibilmente utile per i nostri esperimenti. Possiamo «leggere» la storia della galleria dalle sue pareti e soprattutto possiamo vedere le faglie. Un secondo punto a favore del tunnel di Bedretto riguarda la logistica, che comprende anche aspetti legati alla sicurezza. Le due uscite – verso la Val Bedretto da un lato e verso la galleria del Furka dall’altro – garantiscono l’accessibilità in caso di emergenza. Inoltre, il tunnel è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici o in auto. Sono questi i maggiori vantaggi scientifici e pratici. Infine, il fatto che la galleria sia di proprietà della società ferroviaria Matterhorn Gotthard Bahn (MGB), che gestisce l’infrastruttura ed è interessata alla sua manutenzione, si è rivelato estremamente vantaggioso: la MGB è diventata un partner prezioso, che fornisce sempre un supporto costruttivo.

Quali sono per Lei gli aspetti più importanti dalla creazione del BedrettoLab?

In generale, sono veramente colpito dall’entusiasmo suscitato da questo progetto! Il fatto di avere delle persone che passano giorni e notti a lavorare in una profonda galleria sotto le Alpi non è certo scontato. E stiamo parlando di un gruppo numeroso: ora il nostro team comprende una quarantina di membri. Naturalmente, lavorare nel tunnel ha una componente avventurosa. Un grande incentivo, poi, è dato dal fatto che stanno lavorando alle frontiere della conoscenza. Tutti i dispositivi che abbiamo installato non sono standard: al contrario, abbiamo dovuto sviluppare soluzioni ad hoc. Anche questo è fonte di motivazione. Ogni giorno mi rendo conto che l’intero team sta dando il massimo. Dal mio punto di vista, questo entusiasmo è l’aspetto più appagante dell’intera operazione.

Qual è stata la sfida più difficile?

L’operazione più ampia di quanto prevedessimo. La parte contrattuale si è svolta in modo complesso, con molti accordi, progetti e ordini. È stato necessario far approvare gli ordini più rilevanti dal team legale dell’ETH, e successivamente dal suo comitato esecutivo per assicurare la conformità alle normative applicabili. In generale, questo rende l’intero processo amministrativo più esteso e complesso. Il lavoro sotterraneo è davvero costoso e dobbiamo garantire il finanziamento di tutte le nostre attività, oltre che dell’esercizio di un laboratorio sotterraneo funzionale e sicuro. A volte è difficile dimostrare il valore di alcuni interventi: ad esempio, un pozzo lungo 400 metri pieno di sensori cementati non fa una grande impressione visto dalla parete del tunnel, ma costituisce una struttura di ricerca molto sofisticata e costosa. In fin dei conti, l’amministrazione deve affrontare tematiche nuove, e lo stesso vale anche per noi. Infine, per avere un livello extra di monitoraggio e controllo intero abbiamo un comitato di supervisione composto da membri dell’amministrazione e della ricerca, che ci fornisce consulenza riguardo alle decisioni strategiche più importanti. In generale, la gestione di un laboratorio sotterraneo di queste proporzioni è molto interessante per le attività scientifiche che vi possiamo condurre, ma anche complessa.

Quali sono le scoperte più importanti per quanto riguarda la mitigazione dei sismi indotti nell’ambito di attività condotte nella profondità del sottosuolo?

Possiamo vantare numerosi primati. Ad esempio, abbiamo dimostrato per la prima volta che è possibile installare e progettare un giacimento in fasi diverse, e siamo stati in grado di provare che ciascuna di esse può essere condotta, monitorata e modellata separatamente. Con questo nuovo metodo si riduce al minimo la sismicità e si controlla dove scorre l’acqua. Si tratta di un approccio senza precedenti. Inizialmente lo abbiamo sperimentato con il progetto DESTRESS e successivamente lo abbiamo ulteriormente testato e sviluppato nell’ambito del progetto VALTER. Per Geo Energie Suisse (GES) è stato fondamentale per ottenere l’autorizzazione a procedere con il progetto geotermico a Haute-Sorne. Ora questi progetti ci hanno consentito di acquisire un gran numero di nuovi dati e conoscenze scientifiche, e parallelamente abbiamo imparato molto sulla geologia e il sistema di faglie. Inoltre, abbiamo appreso approfondite conoscenze sul comportamento dell’intera montagna. Tutto ciò è completamente nuovo, dal momento che abbiamo iniziato a installare strumenti che misurano le attività sismiche nel luogo in cui esse si verificano. Con i dati raccolti, stiamo cominciando a comprendere i movimenti sotterranei delle montagne. Tendiamo a considerare una montagna come un cumulo di roccia priva di vita, ma non è così: è un oggetto vivente.

All’inizio dell’estate cominceranno i lavori di costruzione di una nuova galleria laterale, che rientra nel progetto di ricerca sui terremoti denominato «FEAR». Può descrivere le finalità di questo tunnel?

FEAR è il maggior finanziamento finora concesso nell’ambito delle scienze della Terra dal programma ERC Synergy Grant dell’Unione europea, finalizzato a studiare i processi fisici dell’attivazione delle faglie e a comprendere come hanno origine i terremoti. In seguito ad indagini approfondite, ora conosciamo i sistemi di faglie presenti nel tunnel e sappiamo quali sono attive. Abbiamo identificato un sistema di faglie che si intersecano a vicenda. Per avvicinarci ad esse, abbiamo bisogno di una galleria laterale che segua una faglia sulla quale indurremo un piccolo terremoto e condurremo analisi approfondite sul comportamento prima, durante e dopo il sisma. Una serie di pozzi ci consente di monitorare la faglia e iniettare acqua da vicino, il che sarebbe impossibile dal tunnel principale.

A quali domande vorrebbe dare risposta nei prossimi cinque anni? Ha una visione per quanto riguarda il BedrettoLab?

Nel cuore sono un ricercatore ma cerco sempre di far sì che la mia ricerca generi prodotti e risposte utili per la società: di conseguenza, resto fedele a entrambe le finalità. Continuo ad essere convinto che una migliore comprensione delle modalità di insorgenza e cessazione di un sisma e di quando una faglia attiva diventa critica sarebbe enormemente vantaggiosa per molti settori della società in termini di mitigazione del rischio sismico. Che segnale ci sta dando una faglia attiva? Quando sta per verificarsi un terremoto? Quando e perché finisce? Sono tutte domande alle quali desideriamo dare risposta nel BedrettoLab. Abbiamo a che fare con un oggetto che può essere lungo centinaia di chilometri, se non addirittura migliaia; inoltre, la fase di preparazione può durare secoli, ma alla fine accade tutto in un secondo. Comprendere meglio tutti questi processi sarebbe fondamentale, come abbiamo visto nella tragica sequenza di terremoti verificatisi in Turchia-Siria a febbraio. Questa e la ricerca sull’estrazione e lo stoccaggio di energia geotermica restano le discipline chiave del BedrettoLab. Naturalmente, abbiamo anche ricercatori di altre discipline che utilizzano il tunnel per i loro ambiti di attività, ad esempio i geobiologi che attualmente stanno cercando forme di vita in grado di sopravvivere nei chilometri di roccia al di sotto della superficie. Dopotutto, tra pochi anni andrò in pensione e sono felice di sapere che la ricerca nel BedrettoLab continuerà ad essere portata avanti da colleghi più giovani con nuove idee.